Vizio di forma (2016) USA di Paul Thomas Anderson
Anderson si può fregiare, tra i pochi, del titolo di autore perchè le sue opere sono istoriate nella storia del cinema: tutte. Decidere di portare sullo schermo il romanzo di Pynchon era un’impresa di per sè titanica; riuscire a trasformarlo in un potente affresco visivo mantenendo lo spirito del libro e al contempo dando un’immagine stilistica coerente è un esempio da ammirare.
Se volessimo brutalmente ridurre il film, potremmo parlare di un noir vissuto dopo aver assunto un acido, perduto tra i fumi della droga all’inizio degli anni settanta, in piena età d’oro degli hippy. Sarebbe però una reductio che svilirebbe la complessità del film, la sua straripante forza.
Anderson racconta un’era e un mondo ormai scomparso immergendo il pubblico nell’atmosfera dell’epoca, sedimentando i diversi livelli di comprensione di un’epoca con tocchi espressivi e momenti surreali. La trama, i personaggi, l’intreccio sono relativamente importanti. Si tratta di un noir che non ha soluzioni, ma solo la disperata esigenza della vita e dell’amore da parte di un uomo. Nulla è ciò che sembra, niente è realmente come si presenta e non c’è un filo realmente logico.
Lo spettatore è libero di annodare le parti come meglio crede, cogliendo gli aspetti più familiari perchè Anderson non vuole raccontare tutto, ma solo depistarci come fa la vita. Siamo burattini in una realtà più complessa e l’unica cosa che resta da fare è afferrare il senso generale, lasciarsi cullare dal flusso.
Phoenix è un detective intontito dalla droga, un uomo senza qualità che si aggira nella California Reaganiana mentre alla presidenza c’è Nixon con il suo mondo paranoico e deviato. Il poliziotto (Brolin) è speculare al protagonista Larry nella sua incapacità di comprendere il mondo ed il suo senso. In una scena significativa si mette a trangugiare erba con fare meccanico e disperato, consapevole di non avere il minimo controllo della vita, represso in famiglia, disperato nella notte, impossibilitato a quietare i propri fantasmi.
L’America degli anni 70 è un luogo di “fantasmi”, spettri che si aggirano con fare edonistico che copre solo una totale disperazione, un senso di inutilità che la droga, i soldi, la politica non riescono a riempire.
Così Larry ricorda un altro personaggio cult del cinema: il drugo Lebovski. Anticipatore o successore (i corti circuiti temporali del cinema sanno proporre quesiti affascinanti), tetragono protagonista di un mondo che non c’è più. Magnifico.