The Kelly gang (2019) UK/AUS di Justin Kurzel
L’ascesa e la caduta del famigerato bandito australiano Ned Kelly. La storia del giovane fuorilegge che riunì un gruppo di guerriglieri per organizzare una ribellione contro i soprusi dell’impero britannico.
Per raccontare le gesta del più famoso bandito australiano, Kurzel ha deciso di impostare il film in modo oscuro, descrivendo una nazione in cattività, violenta, amorale: un proletariato brutto, sporco e cattivo, insomma, costretto dalle condizioni di vita a subire oppure a ribellarsi nella violenza. Così tutto della vita del bandito viene ridotto ad una divisione manichea della violenza: chi la compie e chi la subisce.
Dopo la prima parte, dedicata all’infanzia di Ned, più interessante (pur nella sua brutalità) l’opera tende a ripetersi nei suoi schemi, finendo per essere confuso. Dopo l’incipit, tutti hanno infatti capito il ruolo della madre nell’educazione del ragazzo, ma l’ossessiva modalità che ha per comunicare con il figlio. I dialoghi eccessivi diventano quasi surreali nella loro esagerazione. I rapporti di Ned con il poliziotto Hoult è ridicolo e gestito malissimo.
Una linea estetica in effetti c’è ma è forse il pregio della fotografia a renderla in alcuni momenti affascinante. La sceneggiatura è piena di scene madri che però non comunicano assolutamente nulla e la stessa ribellione sembra essere più la reazione di una mente malata piuttosto che la comprensione della situazione in cui versa la società.
Il cast importante finisce un po’ sprecato, a parte Crowe che appare per pochi minuti con grande presenza scenica.