Testimone d’accusa (1957) USA di Billy Wilder
Un uomo apparentemente docile viene accusato di omicidio. Citata in giudizio per testimoniare, la moglie del sospettato finisce per aggravare la situazione e decide di assumere un ex avvocato per difendere il marito.
Travestimento, ambiguità, duplicità, falsità: questi sono i temi ricorrenti di Wilder dove i personaggi non sono mai quel che dicono di essere. Dentro di ognuno di noi c’è un fondo di falsità e di doppiezza in cui si si dibatte la nostra etica. Wilder scandaglia questi dilemmi attraverso personaggi esemplari, utilizzando il testo teatrale di Agatha Christie come punto di partenza, ma riempiendo lo schermo di sguardi, tensioni e incontri.
Aiutato in questo dalle maestose interpretazioni di Laughton e della Dietrich, Wilder percorre le strade del giallo di cui mostra le diverse sfumature, senza disdegnare la commedia. L’impianto teatrale gli consente di partire da un meccanismo perfetto per destrutturare i personaggi. L’avvocato Wilfrid è un insieme esplosivo di emozioni: si crede invincibile ma praticamente non ne azzecca una. La Christine della Dietrich è notevole soprattutto per la specularità tra la percezione della diva rispetto al pubblico. La Dietrich è sempre stata definita come altera, fredda esattamente come la donna che appare sullo schermo, ma dentro cova una esplosione di sentimenti. Anche Power viene usato per come veniva visto dal pubblico femminile, ma nasconde in sè ben altri aspetti.
Sulla questione del doppio, sul gioco tra gli attori e i personaggi del film, sul cambio di tono tra i diversi generi, Wilder sa essere maestro come nessun altro.