Se la strada potesse parlare (2018) USA di Barry Jenkins
Anni’70, Harlem. Tish e il fidanzato Fonny sognano un futuro insieme. Quando Fonny viene arrestato per un crimine che non ha commesso, Tish, incinta, fa di tutto per scagionarlo, con il sostegno di parenti e genitori. Mentre le settimane diventano mesi, la ragazza non perde la speranza, supportata dalla propria forza interiore e dall’affetto della famiglia.
Una storia dolente di crescita e di affermazione della persona. Tish, la protagonista, assurge addirittura a simbolo della lotta per i diritti dei neri, calpestati, offesi come quelli di tutte le minoranze. La parte interessante dell’opera di Jenkins, che gira con movimenti di macchina circolari e avvolgenti, accompagnati da una colonna sonora intensa e sottolineatrice, risiede nello sguardo cinematografica che penetra nella profondità dei sentimenti senza concedere spazi a facili ottimismi e analisi superficiali. L’andamento sinfonico dei diversi personaggi, pur mantenendo centrale la figura di Tish, permette al regista di ricostruire un’epoca dal punto di vista del costume.
La tendenza melodrammatica e la complessa organizzazione dello spazio scenico è accurata ed esteticamente impeccabili, al punto di nascondere l’intreccio sotto la forma, perdendo la tensione sul piano politico e di protesta che nel romanzo di Baldwin, cui il film si ispira, era dichiaratamente espresso.
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