Sabrina (1954) USA di Billy Wilder
Quando Sabrina, la figlia dell’autista, ritorna a casa da Parigi, il più giovane dei Larrabee, David, si innamora di lei e vuole far saltare il matrimonio con un’altra ereditiera. Linus, il fratello maggiore, deve porci rimedio.
Solo Wilder può farci credere che un tizzone come Bogart, ormai 55enne, con un evidente parrucchino possa far pazzamente innamorare Audrey Hepburn, trent’anni in meno e una classe infinita nel portamento e nello sguardo, con poche giornate e due o tre smancerie. Invece, ci si crede e ci si lascia trasportare dalla musica di orchestra, ammaliati dallo sguardo ingenuo della Hepburn, vera sirena.
Il motivo di questa illusione risiede nella fiabesca costruzione del regista che dosa i momenti d’amore e le battute feroci sul capitalismo e sui ceti sociali, lasciando a salaci allusioni e a sguardi tra il disgustato e l’arrogante dei ricchi la descrizione della disuguaglianza. Con geniali trovate (l’infilata di porte dell’ufficio di Linus che lo rinchiudono in una prigione di solitudine) e romantiche pennellate riesce a immaginare un mondo in cui il denaro non conta più dell’amore. Non è questa una magia?