S is for Stanley. Ricordando Kubrick

Il nostro parere

S is for Stanley (2016) di Stanley Kubrick

Una casualità ha messo in contatto Emilio D’Alessandro, taxista emigrato a Londra, con uno dei più grandi geni del cinema, Stanley Kubrick. Da quel momento la vita dei due uomini si è incrociata fino alla morte del regista. Emilio è stato per lui il factotum, l’autista, il collaboratore, l’amico, il confidente in un rapporto intenso e pieno di rispetto anche se concepito sempre nell’ottica centripeta dei film che via via si stavano girando.

Alex Infascelli ha intervistato Emilio, ora 75enne, ripercorrendo i quasi trent’anni di lavoro insieme, intrecciando i momenti felici e dolorosi dell’emigrato italiano. Emilio snocciola aneddoti, mostra ricordi che conserva gelosamente (la giacca di Kubrick mentre girava Full metal Jacket e i tappeti che adornavano l’Overlook Hotel in Shining), intervallato da tantissime fotografie inedite e filmati d’epoca tratti dalle opere dell’autore americano.

Il documentario è bellissimo, struggente e commovente insieme con un taglio ancora più particolare. Chi parla non è un fan dell’artista, tanto è vero che non aveva mai visto i film di Kubrick se non nel periodo in cui si è trasferito in Italia agli inizi degli anni 90 e ama in particolare Spartacus, film che l’autore non considerava tra i suoi migliori. Chi parla ha vissuto in simbiosi con l’uomo, ha curato il benessere di Kubrick ancor prima del suo, sacrificando la vita con la moglie e i figli. Tutto perché il genio potesse vivere in serenità, circondato dalla moglie Christiane, dalle figlie e dai tantissimi animali.

Dal ritratto personale di Emilio, emerge un Kubrick assetato di sapere, perfezionista come si sapeva, ma si conosce un uomo pieno di tenerezze e di sensibilità, molto lontano dall’immagine ombrosa che alcune cronache hanno fornito.

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