Poveri ma ricchissimi (2017) ITA di Fausto Brizzi
La famiglia Tucci, sempre più ricca e sempre più cafona, ha una nuova passione: la politica. Così decide di indire un referendum che permetta al loro paesino di uscire dall’Italia, dichiararsi principato indipendente e proporre così nuove leggi.
Brizzi, prima di essere travolto dal caso metoo (all’italiana, come al solito), ha voluto riproporre la famiglia Tucci con tutti i pregi e i difetti del primo episodio. Il tono farsesco della famiglia è retto bene dai mattatori De Sica e Ocone, molto meno dal resto dei personaggi, ingessati e statici (i due figli, il maggiordomo di Ubaldo Pantani e Ludovica Comello) e dal nutrito stuolo dei caratteristi, assai poco sfruttati.
La sceneggiatura ha colto solo il lato cafonal dei personaggi, lavorando sull’eccesso ma lasciandoli piatti e sbiaditi. Cosa potevano essere il prete di Covatta, il padre galeotto di Paolo Rossi o il premier italiano Dario Cassini in mano a chi sa cesellare i camei, come accade nel cinema americano? Tutto invece viene rimestato con toni sovraeccitati.
Quello che appare non perdonabile è il taglio facilmente populista e demagogico della politica italiana. I Tucci possono buttarla in caciara, chi lavora nel cinema no. Può far ridere, ma come insegnano Billy Wilder e Lubitsch, può anche incidere a sangue nell’anima di chi guarda.