Partisan (2015) AUS di Ariel Kleiman
In un luogo imprecisato, ai margini della società, Grigori ha costruito il suo piccolo impero. Circondato da un gruppo di donne che dipendono totalmente da lui, tutte accompagnate da bambini, l’uomo gestisce questo microcosmo forgiato a sua immagine e somiglianza con fare apparentemente paterno ed accogliente. Dietro questa maschera, però, si nasconde ben altro. Grigori non accetta obiezioni ed i piccoli vengono usati come killer, cresciuti come assassini senza sentimenti.
Alexander, il più grande, avverte sempre di più la anormalità della situazione, comincia a capire che Grigori non racconta la verità, che esiste un altro mondo fuori dalla loro proprietà che non è così mostruoso come il suo padre/padrone afferma. Cerca la libertà.
Ariel Kleiman esordisce nel lungometraggio a soli 30 anni con un’opera disturbante e forte. Grazie anche alla recitazione di Vincent Cassel, ipnotico, ma capace di mostrare una vulnerabilità nascosta, l’opera si insinua nello spettatore come un cuneo. Il fascino di questo mondo primitivo e apparentemente egualitario viene scalfito poco alla volta dallo sguardo intenso di Alexander che coglie le contraddizioni. Quando l’ingiustizia diventa palese (che fine ha fatto il piccolo Leo?) Alexander si ribella e cambia le sorti di tutti. I piccoli gesti di un bambino (l’ingenuità, la purezza) sono le armi migliori per sbaragliare la dittatura totalitaria, la malvagità, il male. Più metaforico di così non si poteva….