Palazzina Laf

Palazzina Laf (2023) ITA di Michele Riondino


A Taranto nel 1997, Caterino lavora all’Ilva come operaio siderurgico. Un giorno, i dirigenti aziendali decidono di fare di lui una spia per individuare gli operai di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino pedina i colleghi con lo scopo di denunciarli.


“Palazzina Laf” diretto da Michele Riondino parla di un’incredibile storia vera nata sulle macerie morali dell’acciaieria ILVA di Taranto e su un gruppo di suoi dipendenti confinati nella palazzina Laf a Taranto, sottolineando la sua storia come luogo di reclusione per uomini liberi. La struttura diventa metafora di un’oppressione sociale sistematica, in cui gli operai sono ridotti a individui senza identità dalla routine e dalla sorveglianza costante. Riondino, nel suo esordio alla regia, si impegna a umanizzare i personaggi, dando vita a una variegata galleria di individui che rappresentano diverse sfaccettature del Meridione operaio. L’intento del film è di combinare il j’accuse sociale con toni di commedia grottesca, in una tradizione cinematografica italiana ormai rara. La direzione di Riondino si distingue per l’energia trascinante, riflettendo il suo impegno a lungo termine nelle lotte per la città di Taranto.

Se alcuni passaggi risultano affrettati, con una caratterizzazione delle figure secondarie a volte superficiale, Riondino riesce comunque a delineare con cura la comunità operaia, mostrando i contrasti tra gli spazi dell’Ilva e quelli della Palazzina Laf, così come la casa di campagna sgarrupata di Caterino. L’uso frequente di autobus che trasportano gli operai al lavoro simboleggia la complessità delle relazioni politiche, sociali ed esistenziali intrinseche alla vicenda. La fotografia triste e verista cattura la desolazione dell’ambiente industriale, mentre la colonna sonora di Diodato, con le sue origini tarantine, aggiunge un’ulteriore dimensione emotiva.

La regia di Riondino si caratterizza per il suo approccio minimalista, che privilegia le immagini suggestive e gli sguardi silenziosi sui dialoghi. L’uso del dialetto tarantino conferisce autenticità e profondità ai personaggi, sottolineando la loro lotta contro le ingiustizie e la disumanizzazione. Riondino evita la retorica spicciola, permettendo alle scene e alle situazioni di parlare da sole. Il risultato è un film claustrofobico e avvincente, che cattura la complessità delle sfide sociali ed economiche affrontate dagli operai dell’Ilva. “Palazzina Laf” non è solo intrattenimento, ma un’imperativa riflessione sulla condizione umana e sulle forze che plasmano le nostre vite.

 

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