Minari (2021) USA di Lee Isaac Chung
Anni 80. Una famiglia coreana si trasferisce in una fattoria dell’Arkansas alla ricerca del proprio sogno americano. Tra le sfide di questa nuova vita, scoprono l’innegabile resilienza della famiglia.
Alla base del racconto familiare vi sono importanti elementi autobiografici del regista, dove si affronta non solo il desiderio di realizzazione del capofamiglia ma anche una riflessione sull’integrazione tra etnie diverse, soprattutto in un contesto tutt’altro che multietnico come la campagna dell’Arkansas.
Il passato di povertà assoluta che ha condizionato la gioventù della coppia protagonista e il senso della precarietà sempre presente si ripropone anche per il piccolo David che convive con una malattia cardiaca che lo rende fragilissimo. A questo si aggiunge il ruolo della nonna che raddoppia tali sensazioni portando la sua anticonformistica figura di rottura all’interno del difficile equilibrio.
Il simbolo di tutto questo è la piccola piantagione semi-spontanea di minari (piantina da condimento molto utilizzata nella cucina coreana) cui dà vita la nonna, che conferisce una speranza nel finale così contrastante dove si recupera l’unità tra madre e padre di fronte al disastro.
Divertenti sono i momenti tra la nonna e i nipoti, in particolare David, che sono l’anima poetica del film, le notazioni semplici per narrare una famiglia.