Mi chiamo Francesco Totti (2020) ITA di Alex Infascelli
Il documentario sulla vita di Francesco Totti con la narrazione dello stesso calciatore e la regia di Infascelli si conclude con quella specie di lutto collettivo che ha colpito la capitale il giorno del suo ritiro. Per nessuno in Italia c’è stato un cerimoniale così intenso, partecipato per l’addio al calcio, per nessuno si sono sparse tante lacrime come chiaramente mostrato nella parte conclusiva.
Chi ha assistito in televisione al racconto di quella sera ricorderà come Roma si sia fermata e questo dimostra chiaramente cosa Totti ha rappresentato per la città e come il personaggio sia diventato il suo simbolo. Detto questo, in cosa Infascelli ha innovato il documentario? In nulla è la risposta poichè le belle immagini, la lettura decisamente forzata di Totti non nascondono una narrazione assolutamente banale, cronologica e affascinante solo per il tifoso romanista.
Se non si è tifosi dei giallorossi, infatti, si fa fatica a comprendere la contemplazione del Totti giocatore imberbe, l’idolatria per il capitano, le discussioni infinite intorno ai derby e alle sconfitta. In questo senso il documentario non aiuta affatto, mantenendo solo il punto di vista del tifoso.
Se Totti continua ad essere simpatico, il prodotto cucito intorna a lui non svela assolutamente nulla di nuovo.