L’isola dei cani (2018) USA di Wes Anderson
Tutti i cani della città di Megasaki vengono esiliati su un’isola occupata da una vasta discarica. Il dodicenne Atari parte da solo in cerca del suo animale da compagnia, Spot. Giunto sul luogo, il ragazzino trova un aiuto insperato.
Nel 2009 Anderson si era cimentato con l’animazione in Il fantastico Mr. Fox. Ora ritorna al genere con questa storia futuristica ambientata in una ipotetica isola giapponesi. Anche se non ci sono esseri umani, ma pupazzi animati, il regista vira ogni istante con il suo inconfondibile stile legato ad un realismo magico unico e affascinante, ma rigoroso e geometrico.
L’impresa dell’animazione con animali, poi, è stata risolta con una brillante intuizione. I cani parlano la lingua inglese, mentre gli uomini si esprimono solo in giapponese senza sottotitoli (a parte un paio di persone che fungono da collegamento), centrando subito l’attenzione sulle bestie, come intenzione del regista.
La dimensione metaforica della narrazione si sviluppa in un intreccio lineare e pacato, rallentato per permettere allo spettatore di essere immerso nella vicenda che esprime i colpi di scena senza la creazione di scene madre, anzi utilizzando un tono antifrastico proprio nei momenti risolutivi della vicenda. Leggerezza e ironia permettono di godere di uno spettacolo acuto. E’ ammirabile il lavoro compiuto nelle scenografie, ricche di dettagli incredibili, colorato, spettacolare.
La creazione di una fauna canina così ben assortita composta da personalità sofisticate, educate e imperturbabili (tratti tipici ricercati da Anderson) sono l’arma per dare umanità all’opera e per giocare sui rimandi all’umanità combattuta, cattiva e rancorosa che la realtà ci propone. Una fiaba può far riflettere e dare una speranza di cambiamento.