Karamazov (1958) USA di Richard Brooks
Attorno all’uccisione dell’odioso Pávlovic, il padre dei fratelli Karamàzov, ruotano le vicende di una famiglia nella Russia zarista, tra avidità e lussuria, passioni e tragedie.
Brooks è anche autore della sceneggiatura, un buon trattamento del romanzo ma anche una inevitabile riduzione vista la complessità del romanzo, nonostante la durata di 146 minuti. Quello che appare notevole è il technicolor di John Alton che ha utilizzato la palette dei colori per riassumere i sentimenti: rosso la passione, giallo la violenza, verde la malinconia, lasciando le tonalità del grigio al resto.
C’è abbondanza di passione, tensione, vigore, personaggi che si imbevono avidamente di vita e tramano per andare avanti a spese di tutti. La narrazione si fa strada verso diversi vicoli ciechi drammatici in cui la testardaggine vince ogni forma di logica, manciate di denaro diventano un’ossessione, la lussuria e la speranza si scontrano in un relitto, e niente è raggiunto o risolto. I fratelli finiscono in battibecchi sconvenienti, i loro grandi spiriti sprecati in meschine dispute. Non aiuta che il cast di supporto sia debole. Yul Brynner e Lee J. Cobb irradiano machismo, decadenza e personalità, ma artisti del calibro di Richard Basehart, William Shatner e Albert Salmi si dissolvono. Maria Schell attraversa l’intero film con un sorriso malizioso sul viso, come a sottolineare la sua doppia seduzione di padre e figlio. Gocciolanti di rappresentazioni simboliche del loro paese, i fratelli Karamazov sono personaggi pesanti in cerca di un dramma adatto, e non lo trovano proprio qui.