Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, cerca di spiegare, scrivendo, a sua figlia Antia tutto ciò che ha messo a tacere nel corso degli ultimi trent’anni, dal momento cioè del suo concepimento. Al termine della scrittura non sa però dove inviare la sua confessione. Sua figlia l’ha lasciata appena diciottenne, e negli ultimi dodici anni Julieta non ha più avuto sue notizie. L’ha cercata con tutti i mezzi in suo potere, ma la ricerca conferma che Antia è ormai una perfetta sconosciuta.
Invece del «solito» film colorato e barocco, Almodovar ha percorso con sobrietà la consueta via del melodramma mettendo in scena un ritratto femminile dolente, intimo, personale. Il dolore è al centro dell’opera, esposto nudamente, senza gli scoppi ironici e trasgressivi del passato poichè tutti i personaggi devono fronteggiare la morte, la malattia, l’abbandono. Il racconto è formato da una serie di ritratti sofferenti dove la paura, la gelosia, il senso di colpa, i sentimenti più insinuanti e deleteri, agiscono sotterraneamente distruggendo le possibilità che l’amore può dare alla vita.
Il film, ispirato ad alcuni racconti del Nobel Alice Munro, evidenzia un cambio di tono registico nell’autore spagnolo. Ancora una volta protagoniste sono le donne, tenere e determinate, ma il linguaggio è variato, più rigoroso e algido. Vi è sempre un atmosfera di perdita che domina l’intera opera; i colori e l’ambientazione degli anni 80, grazie al gioco dei flashback, appaiono spenti, malinconici.
Resta l’afflato cinefiliaco mostrato dalle numerose citazioni, compresa la colonna sonora che richiama Bernard Hermann nei film dell’amato Hitchcock. E nel mix di sapienti richiami all’arte e alla cultura popolare, emerge la straordinaria professionalità del regista manchego che, anche in uno delle sue opere meno potenti, si orienta nelle atmosfere torbide del melò, mescolandoli sapientemente ai toni da thriller emotivo che in alcuni momenti del film emergono.
La recitazione non è sempre convincente (discorso a parte merita la inquietante apparizione di Rossy De Palma), mentre la sceneggiatura è sopraffina perchè espone il dramma, il rimpianto e la tragedia in una struttura drammaturgica scarna, crepuscolare ma penetrante
Si parla di un’opera poco riuscita, difficile dirlo. Certamente si tratta di un’opera incompiuta dove il dolore della perdita preannuncia una rivelazione epifanica che non arriva mai, dove manca l’ironia, la reale commozione, dove tutto è trattenuto, composto in un eccesso di sobrietà che lascia senza brividi la visione.