Il sale della terra (2014) GER di Wim Wenders
E’ da diversi anni che Wenders non dà più nulla di interessante al cinema, almeno dal punto di vista narrativo. Gli basta, però, passare al documentario per ritrovare una parte della sua arte.
Questa volta lo fa seguendo, intervistando Sebastiao Salgado, il fotografo brasiliano che dopo aver visto i luoghi più colpiti da guerra e malattie del mondo, ha deciso di dedicarsi alla natura creando una fondazione che sopravviverà a lui restituendo l’aspetto originario al Brasile. Un tentativo, certo, nobile e non una certezza: tuttavia, seguendo il percorso morale e professionale di Salgado si capisce come questo passo fosse inevitabile.
Prima vediamo la vita di Salgado e le sue fotografie che restituiscono all’uomo la misura della propria malvagità. La paura dei volti, i massacri, le violenze inenarrabili che il fotografo ha documentato lasciano il posto all’indicibile, agli sguardi vacui delle persone che muoiono di fame, di malattia.
I corpi decomposti già in vita, ridotti in scheletri ancor prima di esalare l’ultimo respiro sono il punto più angosciante dell’intera opera. Le orbite infossate e l’inespressività di queste persone già trasformate in fantasmi scavano nel profondo dello spettatore.
Infine, un anelito di speranza, con la missione di Salgado e della famiglia che sono probabilmente il tentativo, dignitoso e solitario, di restituire al mondo una parte di bellezza, quasi a cancellare i segni lasciati da tante esperienze.
In questa costruzione c’è la bellezza del documentario.