Regista sperimentale, allievo di Straub e Huillet, Rousseau presenta una filmografia ricca di titoli ma poco nota vuoi per l’azzardato sperimentalismo, vuoi per il linguaggio elitario e volutamente antifrastico.
Chi scrive non ama assolutamente questo tipo di cinema perché troppo cerebrale, fustigatore dell’immagine movimento che dovrebbe essere della settima arte. Non si può mai negare però valore a questi esploratori che partono da presupposti totalmente inversi rispetto al gusto classico del pubblico. C’è una forma di azzardo coraggioso che lascia ammirati per il perseguimento, nel corso degli anni, della propria visione del cinema, a dispetto di ogni calcolo commerciale, di ogni opportunismo.
Le prolungate immagini fisse che hanno evidenti richiami pittorici, i dialoghi rarefatti e alieni alla narrazione creano una situazione forte di spaesamento, effetto esplicitamente ricercato dal regista parigino. Chi non condivide questo approccio al grande schermo, non può invece che provare noia per un solipsistico storytelling.
Festival (2010) è perfettamente inserito nel filone, senza distoglimenti dall’obiettivo finale. Quale sia, lo lasciamo scegliere allo spettatore. La trama è assolutamente inesistente; i tableaux vivants rappresentati sono solo pretesti per una ricerca sullo spazio filmico.
Va reso merito, ancora una volta, a Fuori Orario di Rai Tre che consente di vedere un autore così fuori dal circuito commerciale, dando allo spettatore il privilegio infinito di scegliere, con i propri sensi, cosa sia giusto guardare e ammirare.