Happy end (2017) FRA di Michael Haneke
La ricca famiglia dei Calais si trova a vivere in un paese non lontano da un campo di rifugiati, i cui abitanti vivono in condizioni di estrema povertà, ma ai quali prestano poco attenzione.
Haneke prosegue nella sua analisi entomologica delle storture morali e mentali della borghesia. Il suo cinema nichilista riprende la vita di un gruppo di famiglia arido ed egocentrico in cui ognuno vive disperato ed insensibile. Il vuoto etico che sottosta ad ogni atto comporta la deviazione anche dei più piccoli, cresciuti in un deserto di sentimenti, abituati al sadismo ed insensibili alle sofferenze.
Le varie tappe della vita sono descritte attraverso personaggi esemplari. Eve, appena adolescente, uccide il proprio criceto, spia la chat del padre leggendo i messaggi pesantemente sessuali inviati alla propria amante. Il padre, Thomas, non riesce ad amare. Prende con sè Eve perchè non può fare diversamente (la madre è in ospedale), ma non riesce a non essere anaffettivo, nonostante le parole accorate che pronuncia. Anche la sorella di Thomas, Anne manifesta le stesse tendenze. Non può fare a meno di umiliare il proprio figlio inetto. George, il capostipite, desidera solo morire, piegato dalla vecchiaia, ma non mostra mai segni di empatia, concentrato in un egocentrismo che evidentemente lo ha sempre caratterizzato.
La morte di un operaio immigrato nel loro cantiere è così solo un momento disturbante, ma non devia minimamente la loro esistenza, ormai destinata verso un tramonto perfido e degenerato.
Tutto questa decadenza è centrale nell’opera di Haneke che punta allo shock finale, ma non è altrettanto riuscito nell’equilibrio tra farsa e tragedia, tra la sorpresa e l’avvilimento.