Fuocoammare (2016) ITA di Gianfranco Rosi
Trionfale vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino e ora candidato all’Oscar, il documentario di Gianfranco Rosi ha raccolto incredibili recensioni un po’ dovunque. Appare difficile parlarne con tono dubitativo, non tanto verso il lato documentaristico (ineccepibile ed indiscutibile) ma soprattutto per i commenti onusti di superlativi che urlano al capolavoro. Non siamo nel capolavoro ma nell’onesto lavoro di un artigiano intelligente e sagace, capace di creare un linguaggio ibrido. C’è certamente il lato documentaristico ma il montaggio, la costruzione della storia trasforma tutto in un racconto, una narrazione che sconfina nella fiction.
Se va dato merito a Rosi sulla forza di attraversare i generi creando un linguaggio personale, inevitabilmente i confronti con la fiction in senso stretto portano a definire il film troppo “lento” (termine orribile), poco amato dal pubblico generalista. Questo non è certamente un difetto, anzi. Il mondo poetico del regista, però, non produce una gran poesia, ma un buon prodotto.
Restano, invece, scolpiti nella memoria la preghiera cantata in modo disperato dai sopravvissuti, gli sguardi ricolmi di dolore di coloro che ce l’hanno fatta a sbarcare, il racconto accorato del medico di Lampedusa e la gelida dimostrazione della morte con la ripresa del barcone pieno di cadaveri.
Queste parti sono agghiaccianti e feriscono il cuore degli spettatori. Il confronto con la vita del ragazzino prende senso, diventa pietra di paragone, racconto di mondi che scompaiono.