End of justice – Nessuno è innocente (2017) USA di Dan Gilroy
Roman J. Israel è un avvocato nero afflitto dalla sindrome di Asperger. Idealista, vive immerso nel passato senza contatti con il mondo. Lavora in uno studio noto per le sue battaglie civili, dove il suo socio gestisce le cause. La morte improvvisa del socio lo destabilizza. Costretto a lavorare in uno studio legale interessato solo al denaro, Roman prende coscienza del mondo esterno e cerca di farsi accettare socialmente intascando una taglia grazie alla delazione di un suo assistito. La persona che ha fatto arrestare, però, conosce il suo segreto e Roman dovrà fare i conti con una reale minaccia di morte.
Risulta incomprensibile la scelta di cambiare il titolo in uno fittizio sempre in inglese, quando si poteva agire altrimenti. Una scelta pessima perchè allontana il pubblico più di quanto non faccia la qualità stessa del film che espone confusamente concetti interessanti e il classico dilemma etico che colpisce ogni avvocato penalista.
Questo tipo di opera purtroppo è molto frequente negli ultimi anni con risultati raramente buoni, più spesso mediocri. Si prende, infatti, un grandissimo attore non più giovanissimo (Al Pacino e Denzel Washington a seconda della razza) e si costruisce intorno alla sua figura di loser, una vicenda dai contorni drammatici in cui l’uomo si trova a combattere con i propri fantasmi piuttosto che con un nemico esterno. Inevitabilmente le prove cui sono sottoposti li vedranno riscattarsi dall’abiezione in cui sono caduti pur essendo consci di dover pagare un prezzo altissimo.
Troppo ripetitivo il refrain, quindi, per entusiasmarsi. Si può apprezzare il lavoro svolto dal grande attore nel calarsi nel personaggio, nel saper tratteggiare i gesti, la psicologia con consumato mestiere. L’intreccio, invece, con molte forzature ti conduce al messaggio finale, ma non basta l’intenzione per farne un gran film. I quesiti morali che pone basta per renderlo accettabile, ma non buono.
