Dogman (2018) ITA di Matteo Garrone
Marcello vive tra le pieghe di in una periferia sospesa tra la grande metropoli e la natura incontaminata. Persona mite e tranquilla, gestisce un salone di toelettatura per cani. Durante le sue giornate deve destreggiarsi tra il lavoro, la figlia adorata, Sofia, e l’ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino un ex pugile temuto da tutto il quartiere per i suoi atteggiamenti al limite della follia.
Ispirato ad un fatto di cronaca che sconvolse l’Italia di fine anni ottanta, il film si discosta rapidamente dalla ricostruzione per diventare una riflessione poetica sulle classi tematiche di Garrone. Con una fotografia che ricorda molto L’imbalsamatore per cromia e luce, Dogman ha segnato un grande successo personale dell’attore Marcello Fonte e critiche molto positive per il regista.
La fotografia di Bruel è estremamente avviluppante, capace di rendere visibile il disagio e la poesia, la desolazione e la disperazione. Il film stenta a decollare con una prima parte difficoltosa, a tratti noiosa, prima di giungere ad un finale che esprime appieno l’impossibilità di esistere del protagonista. Il finale è la parte decisamente migliore perchè Garrone si è giustamente rifiutato di cadere nel truce, riproponendo il barbaro omicidio e perchè assume una dimensione fiabesca che, nella sua bestialità, affascina.