Colette (2018) USA di Wash Westmoreland
Dopo essersi trasferita a Parigi, la scrittrice Sidonie-Gabrielle Colette accetta di curare il romanzo autobiografico del marito. Il successo del testo la ispira a lottare per vedere riconosciuta la propria capacità creativa.
Biopic estremamente classico per raccontare la vita di Colette dal matrimonio alla sua affermazione personale, coincisa con il divorzio ed il successo letterario. Siamo per l’ennesima volta (Big eyes, The wife) di fronte ad una donna che sacrifica il proprio talento alla vanagloria del marito. Epoche diverse, ma spesso personaggi reali. In aggiunta, Colette è stato anche un caso per la sua libertà sessuale, per l’anticonformismo e le sue scelte femministe.
Westmoreland sceglie però una traccia narrativa convenzionale, un racconto puramente cronologico senza invenzioni o colpi d’ala. Tutto è fatto con estrema professionalità, ma senza un’anima, una forza distruttrice pari a quella espressa da un carattere così forte e innovativo. L’obiettivo è affermare i diritti LGBT, diritti che interessano personalmente il regista che dedica l’opera al marito scomparso.
L’autore è però arguto nell’uso della Knightley che ancora oggi può rappresentare il passaggio dalla provinciale appena uscita dall’adolescenza alla donna matura che si afferma nei salotti letterari. E’ anche delicato nel descrivere le pulsioni sessuali senza scendere nel morboso, ma anzi mostrandole nella loro naturalezza. Possiamo perciò ammirare la descrizione della Belle Epoque ma manca un reale riferimento allo sfondo storico che resta abbozzato. Tutto questo fa di Colette un prodotto di buona fattura che difetta nell’originalità.