Attrici morte nel 2015

Le attrici che ci hanno lasciato lo scorso anno in un breve ricordo con la lista delle loro interpretazioni significative. Non è una classifica, o meglio non è solo una classifica, ma un omaggio alle loro figure. Alcune di esse sono state importanti più come attrici televisive che nel cinema. Altre hanno rappresentato un simbolo di bellezza, una moda che non ha sempre avuto la stessa rispondenza nella qualità delle loro interpretazioni. Tutte hanno lasciato un segno, anche piccolo nel loro lavoro. Un giusto ricordo.

Donna Douglas nome di nascita: Doris Ione Smith (1932–2015) Il ruolo per il quale viene principalmente ricordata è quello della bella campagnola Elly May  nel telefilm degli anni sessanta The Beverly Hillbillies (1962–1971).  Sebbene la Douglas fosse già attiva come attrice negli anni sessanta, era ancora relativamente sconosciuta quando venne scelta tra 500 altre ragazze per lavorare insieme al veterano attore e ballerino Buddy Ebsen nella serie The Beverly Hillbillies. Il programma andò avanti per nove stagioni consecutive, dal 1962 al 1971 con un successo incredibile.

Monica Scattini (1956–2015). Figlia del regista Luigi, ha esordito nel 1974 nel film di M. Bolognini Fatti di gente perbene, per poi essere diretta da grandi registi quali E. Scola La famiglia (1987), D. Risi Tolgo il disturbo (1990), M. Monicelli Parenti serpenti (1992). Ha vinto come miglior attrice non protagonista il Nastro d’argento per Lontano da dove (1983) e il David di Donatello per Maniaci sentimentali (1994). Successivamente ha recitato soprattutto in commedie, come Selvaggi (1995), Simpatici e antipatici (1998), Scacco pazzo (2003), e ha partecipato a varie fiction, alcune delle quali di grande successo, come Elisa di Rivombrosa e Un ciclone in famiglia. È stata stroncata da un tumore.

Geraldine McEwan nome d’arte di Geraldine McKeown (1932 –2015), è stata un’attrice inglese. Di origini irlandesi, ha recitato sia per il cinema che per la televisione; sul piccolo schermo è particolarmente nota per la sua interpretazione di Miss Marple nell’omonima serie televisiva. Nel cinema ha preso parte a Enrico V (1989) di Kenneth Branagh, Robin Hood principe dei ladri (1991) di Kevin Reynolds, Magdalene (2002) di Peter Mullan, La fiera della vanità (2004) di Mira Nair.

Moira Orfei (1931-2015) nome d’arte di Miranda Orfei. Si è esibita come cavallerizza già all’età di 6 anni. Con il tempo è diventata il simbolo del circo in Italia. La sua immagine kitsch, specchio della sua personalità eccentrica ed esuberante, le fu consigliata da Dino De Laurentiis, che le suggerì anche di cambiare nome. Accanto ai trionfi circensi ha coltivato negli anni una seconda passione come attrice cinematografica, arrivando a interpretare una quarantina di film, dai peplum alle commedie ai film di autori più impegnati, come Pietro Germi in Signore & signori. Fra i numerosi film si possono anche ricordare Casanova ’70, accanto a Marcello Mastroianni, Totò e Cleopatra e Il monaco di Monza a fianco del celebre comico napoletano, Straziami, ma di baci saziami con Nino Manfredi e Profumo di donna con Vittorio Gassman, entrambi di Dino Risi. La sua ultima apparizione sul grande schermo è del 2003 quando interpreta se stessa nel film Natale in India. In seguito ha continuato ad occuparsi personalmente del suo circo.

Lizabeth Scott (1922-2015) Negli anni ‘40/‘50 fu una delle presenze femminili più intense del noir hollywoodiano arricchendo di un sottile senso di sofferenza e di androgine durezze le figure femminili interpretate. L’esordio è in Incontro nei cieli (1945) di John Farrow; il pubblico le decretò subito tali consensi che, già al secondo film, fu chiamata a sostenere un confronto con Barbara Stanwyck in Lo strano amore di Marta Ivers (1946) di Milestone. Nel 1947 affiancò Bogart in Solo chi cade può risorgere di John Cromwell. Interpretò poi Furia nel deserto (1947) di Lewis Allen, con Burt Lancaster, che affiancò anche in Le vie della città (1948) di Byron Haskin. Tra gli altri numerosi noir, da ricordare Tragedia a Santa Monica (1948) di André de Toth ed Il gigante di New York (1949) di Jacques Tourneur. Affiancò Charlton Heston in La città nera (1950) di William Dieterle, e fu particolarmente efficace, accanto a Robert Mitchum, nel cupo La gang (1951) di Cromwell. Fu di colpo e inspiegabilmente messa da parte: cercò lavoro in Gran Bretagna, dove recitò nel thriller Volto rubato (1952) di Terence Fisher, ma rimpatriò delusa per affrontare un ruolo comico accanto a Lewis e Martin in Morti di paura (1953). Dopo il western, La campana ha suonato (1954) di Allan Dwan, vibrante parabola antimaccartista, non ha ottenuto altri ruoli di rilievo.

Laura Antonelli (1941-2015) Nome d’arte di Laura Antonaz. L’espressione innocente e il corpo formoso ne hanno fatto il simbolo di una bellezza provocante ma familiare, imponendola come interprete ideale delle commedie sexy degli anni Settanta. Nel 1974 le è stato conferito il Nastro d’argento come migliore attrice per Malizia (1973) di Salvatore Samperi e nel 1981 il David di Donatello come migliore attrice non protagonista per Passione d’amore di Ettore Scola. Dopo aver esordito nel cinema nel 1965 con Le sedicenni di Luigi Petrini, prese parte a Le spie vengono dal semifreddo (1966) di Mario Bava. Il primo grande successo come protagonista lo ottenne in seguito con Il merlo maschio (1971) di Pasquale Festa Campanile, commedia erotica, dove recita, insieme a Lando Buzzanca. Fu così scoperta da Claude Chabrol che, nel 1972, le affidò un ruolo in Trappola per un lupo al fianco di Mia Farrow e Jean-Paul Belmondo, con il quale ebbe una relazione. L’autentica affermazione giunse però con Malizia di Samperi; celebre la scena in cui lsalita su una scala per spolverare, mostra le gambe in calze nere e giarrettiera. L’anno seguente la sua sensualità fu inserita nel contesto alto-borghese della Sicilia dell’inizio del Novecento in Mio Dio, come sono caduta in basso (1974) di Luigi Comencini. Si trovò poi di nuovo al fianco di Giancarlo Giannini ‒ con cui aveva già lavorato nel 1973 sul set di Sessomatto di Dino Risi ‒ quando Luchino Visconti la diresse nel suo ultimo film, L’innocente (1976). Interpretò, quindi, nel primo film in costume di Ettore Scola, Passione d’amore, il personaggio di Clara, donna adultera e passionale che sfida le regole della società ottocentesca. Negli anni Ottanta e fino ai primi anni Novanta, ha continuato a ricoprire ruoli basati sul forte potere erotico della sua immagine in film, tra cui La venexiana (1986) di Mauro Bolognini.

 

Faten Hamama (1931-2015) Fece il suo esordio nel cinema a soli 7 anni e già nel 1946 ebbe modo di poter dimostrare le sue doti di attrice drammatica nel film Angel of Mercy. Gli anni cinquanta, l’epoca d’oro del cinema egiziano, la videro tra le interpreti di maggiore successo tanto da guadagnare il titolo di “signora del cinema arabo”, tra i titoli realizzati in questo periodo va ricordato Struggle in the valley diretto nel 1954 da Youssef Chahine. In questo film recitava Omar Sharif. La coppia si sposò ed ebbe un figlio. Il matrimonio finì nel 1974. Il film del 1975 “Oridu Hallan” racconta la lotta di una donna per ottenere il divorzio ha portato alla revisione della legge che era evidentemente a favore degli uomini. Nel 2000 è stata premiata con il titolo di Century Star Award da parte dell’Organizzazione degli scrittori e critici egiziani.

Magali Noel (1932-2015) Nacque in Turchia da genitori francesi. Esordì come cantante in alcuni cabaret parigini, successivamente passò dagli spettacoli di rivista al teatro classico e nel 1950 sul grande schermo.Già l’anno successivo interpretò un ruolo di un certo impegno in Seul dans Paris. Bruna, procace, dotata di grande fascino e disinvoltura scenica, divenne immediatamente popolare in Francia grazie ai ruoli da coprotagonista nel celebre film poliziesco Rififi, diretto nel 1955 da Jules Dassin, e nell’elegante commedia Eliana e gli uomini (1956), per la regia di Jean Renoir. Nel 1956 la Noel cominciò ad incidere con successo un buon numero di dischi. Giunta in Italia verso la fine degli anni cinquanta, fu ingaggiata nel ruolo di femme fatale in numerose pellicole. Il suo fisico esuberante e la personalità provocante le consentirono piacevoli caratterizzazioni comiche, come quella di Cleopatra in Totò e Cleopatra (1963) di Fernando Cerchio. Importante sodalizio artistico fu quello con Federico Fellini, che la portò ad interpretare ruoli notevoli in tre film, La dolce vita (1960), Fellini Satyricon (1969) e soprattutto Amarcord (1973), in cui l’attrice impersonò la greve ma sinuosa “Gradisca”, proiezione delle memorie e fantasie adolescenziali di Fellini stesso. A partire dagli anni settanta Magali Noël continuò a lavorare, quasi esclusivamente in Francia, sia per il cinema che per la televisione, dedicandosi talvolta anche al teatro.

Ekberg, Anita (nome d’arte di Kerstin Anita Marianne) (1931-2015) Simbolo della femminilità statuaria e giunonica, divenne un’icona del cinema grazie all’immagine che Federico Fellini le disegnò su misura in La dolce vita (1960). Nella sua successiva carriera non ha però più potuto liberarsi da uno stereotipo diventato così famoso e quindi ingombrante e riconoscibile. Miss Svezia 1950, nel 1951 giunse negli Stati Uniti per partecipare al concorso di miss Universo. Divenne poi modella fotografica e attrice televisiva e ottenne anche il ruolo di Ilse Lund in una versione televisiva di Casablanca (1955). Aveva esordito nel cinema nel 1953, con un piccolo ruolo nella commedia Viaggio al pianeta Venere di Charles Lamont, cui seguirono in sette anni una ventina di film. Divenne così una piccola star, forte della fisicità nordica esibita soprattutto in film di soggetto storico come Zarak Khan (1956) di Terence Young e Nel segno di Roma (1959) di Guido Brignone. Giunta per la prima volta in Italia il kolossal Guerra e pace (1955) di King Vidor, vi si stabilì definitivamente nel 1958. Scelta da Fellini per La dolce vita, vi impersonò la lattea svedese che ossessiona i sogni del maschio latino; la scena del suo bagno notturno nella fontana di Trevi divenne una delle immagini più popolari della storia del cinema. Fellini le dedicò poi un ritratto affettuosamente tagliente in Le tentazioni del dottor Antonio (1962, episodio del film collettivo Boccaccio ’70), dove l’attrice, con i suoi grandi seni materni, ingigantita a dismisura in un cartellone pubblicitario sul latte, sconvolge un bigotto Peppino De Filippo, ridicolo rappresentante dell’Italia conservatrice. In seguito visse di rendita grazie alla sua fama, ritornando lentamente a quelle produzioni di genere che avevano costituito il terreno nel quale era professionalmente cresciuta. Baronessa russa, regina tartara, principessa barbara, vampira, adescatrice internazionale, alternò produzioni tedesche, italiane e francesi, pur vivendo stabilmente in Italia. Fellini la chiamò ancora a interpretare sé stessa nel film I clowns (1970) e successivamente Intervista (1987).

Setsuko Hara all’anagrafe Masae Aida (1920–2015) Nel 1946 è protagonista — di grande livello espressivo — del sesto film di Kurosawa, Non rimpiango la mia giovinezza, cui l’attrice dà un grande contributo. Per Kurosawa interpreterà anche la protagonista di L’idiota, nel 1951, tratto dal romanzo di Dostojevskij: il suo è il ruolo corrispondente a Nastassia Filippovna. Ma Setsuko Hara è stata soprattutto l’attrice prediletta da Ozu nei film del dopoguerra: nel 1949 ricopre il ruolo della figlia in Tarda primavera (il padre, vedovo, le fa credere di essere in procinto di sposarsi per indurla a sposarsi a sua volta; la ragazza lo fa, suo malgrado e lui rimane solo, in uno dei finali più poetici della storia del cinema); nel 1953 interpreta poi la nuora vedova di guerra e infelice dei due anziani protagonisti di Viaggio a Tokyo, forse il capolavoro del regista. Per Ozu ha interpretato ancora Inizio d’estate e Crepuscolo di Tokio, rispettivamente nel 1953 e 1957 e infine Tardo autunno nel 1960: non solo il titolo ricorda quello del suo primo film con Ozu del 1946, ma la vicenda è la stessa: solo, stavolta, non è un padre che fa credere alla figlia di volersi risposare, ma una madre, e a interpretarla è la stessa Hara che nel film precedente faceva la figlia.

 

Maureen O’Hara (1920-2015) La divina interprete di Un uomo tranquillo (1952) di John Ford. E’ ricordata anche per Notre Dame (1947) di William Dieterle e Come era verde la mia valle (1941) sempre di John Ford.

 

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