American pastoral (2016) USA di Ewan McGregor
Per l’esordio alla regia McGregor ha deciso di trasporre un romanzo di uno dei più grandi scrittori del novecento, Philip Roth. Un’impresa titanica, già cercata da altri e sempre complessivamente fallita. Il motivo sta nello stile dello scrittore, così denso di riflessioni personali, di ricca estrazione psicanalitica, esposto in uno stile antiromanzesco.
In sostanza il rischio, immancabilmente corso, è di limitarsi alla superfice della narrazione, con uno svolgimento narrativo convenzionale che svilisce il valore del romanzo, derubricando un capolavoro a generico racconto della storia americana.
McGregor ci casca in pieno, ritagliando Zuckerman (l’alter ego di Roth), il narratore del romanzo, in un ruolo secondario, semplice espediente narrativo per inserire la vicenda principale, eliminando ogni traccia del corrosivo commento, ricchissimo di notazioni ironiche, dissacranti, flagellanti, che non solo raccontavano lo svolgersi degli eventi, ma costituivano un immenso ritratto di una società, di una mentalità e di un mondo intero dal secondo dopoguerra agli anni settanta.
La mostruosità dell’opera di Roth ha costretto sceneggiatori e regista a ripiegare sull’amore dello Svedese verso la figlia in anni difficili e complessi, buttando il contesto sullo sfondo e dimenticando la figura archetipica del protagonista verso la società americana ed ebreo-americana soprattutto.
Il quadro, insomma, è edificante e ben fatto, ma mancano troppe pennellate per farlo diventare un film da non perdere.