Il grande Gatsby (1973) USA di Jack Clayton
Recentemente ci ha provato Lurhman a dare anima al romanzo di Fitzgerald ma, diciamocelo, l’ha buttata in vacca con il suo gusto eccentrico delle provocazioni, con lo sfarzo esibito degli effetti speciali, con la mancanza di idee sull’impostazione della storia.
Clayton l’ha fatto meglio 40 anni prima. Anche lui ha scelto l’idolo del momento, Robert Redford, un’attrice non particolarmente bella per rendere ancora più assurdo il sogno di Gatsby, Mia Farrow (che però aveva alle spalle il matrimonio con un certo Frank Sinatra), Sam Waterston nella parte di Nick, un attore che si presenta timidamente sulla scena, contraltare dell’esibizionismo accecante di Gatsby.
Clayton ha colto ottimamente lo spirito decadente del romanzo, la spregevole falsità del mondo dei ricchi in contrapposizione con gli altri, la volgare spudoratezza dei ceti agiati che considerano il resto del mondo come schiavi. Gatsby esce da questa schiavitù e, nonostante il denaro, viene tenuto a distanza. D’altro canto, lo stesso uomo non è interessato agli altri: pensa solo a Daisy, vittima di se stesso.
La finezza del racconto è colto in pieno nella prima parte dove Clayton fa risuonare, nel vorticoso e spasmodico festare dei suoi inutili invitati, la falsità dell’esistenza che così bene Fitzgerald ha narrato. Dietro alla visibile menzogna, si nasconde l’insostenibile verità. Gatsby non la vuole vedere, ma Robert Redford è il volto di questa illusione. La Myrtle Wilson di Karen Black è ragguardevole.