Eravamo bambini

Il nostro parere

Eravamo bambini (2024) ITA di Marco Martani


Un gruppo di amici d’infanzia si riunisce dopo diversi anni nel proprio paese d’origine, in Calabria, per fare i conti con un passato traumatico e un pericoloso desiderio di vendetta.


Il genere del coming of age, che esplora le sfide e i turbamenti della crescita, è un tema consolidato nel cinema grazie alla sua capacità di riflettere la realtà e le sue contraddizioni. Questo genere spesso affronta non solo le esperienze giovanili, ma anche le conseguenze degli eventi passati che continuano a influenzare il presente.

Eravamo bambini, diretto da Marco Martani, adotta una struttura narrativa frammentaria e complessa, suddivisa in tre livelli temporali, per raccontare una storia di traumi, vendetta e riconciliazione. Il film riflette un’ampia gamma di stili e influenze, combinando elementi di dramma intimista, crime/noir, e romanzo di formazione. Attraverso una pluralità di voci e personaggi dalle profonde cicatrici emotive, Martani esplora il dolore e la resilienza umana, utilizzando metafore come il Kintsugi giapponese per rappresentare il processo di guarigione.

L’opera è caratterizzata da una regia che sfrutta bene il potenziale visivo e sonoro per immergere lo spettatore in una narrazione complessa e multilivello. Se l’ambientazione è di buon livello

Eravamo bambini è un racconto di crescita prolungata che non si limita all’infanzia ma abbraccia l’età adulta, toccando temi attuali come la salute mentale e le dinamiche interpersonali. Con un cast giovane e motivato, il film riesce a intrecciare nostalgia e tensione emotiva, creando un’esperienza cinematografica che esplora l’innocenza perduta e la complessità dell’essere umano.

Tuttavia, nonostante l’ambizione e la ricchezza delle tematiche trattate, il film può risultare a tratti dispersivo e sovraccarico. La scelta di mescolare diversi generi e stili, pur rappresentando una sfida interessante, non sempre riesce a trovare un equilibrio pienamente convincente, lasciando talvolta la sensazione di un’opera che, pur affascinante, fatica a esprimere tutto il suo potenziale.

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