Another happy day (2011) USA di Sam Levinson
Accompagnata dai due figli adolescenti, Elliot e Sam, Lynn torna nella casa dove è cresciuta per il matrimonio del figlio Dylan, avuto dalla precedente unione con Paul. I rapporti di Lynn con la famiglia e con Paul sono piuttosto tesi.
Tolstoj diceva che ogni famiglia è infelice nel proprio modo. Così è anche la famiglia di Lynn che presenta un figlio adolescente tossicodipendente e disturbato, una figlia fragile e autolesionista e un ragazzino autistico. Nonostante tutti tentativi di Lynn di aiutarli, l’unico felice sembra essere il figlio maggiore che ha avuto dal precedente matrimonio, infelice e costellato di violenze. Il matrimonio di quest’ultimo è la causa scatenante di una serie di avvenimenti distruttivi.
Lynn ha il volto segnato di Ellen Barkin, una delle tante stelle di quest’opera. Infatti, Another happy days è un film complessivamente corale, con una serie di caratteristi, ognuno dei quali è un protagonista a modo proprio. Levinson, figlio di Barry, si affida a degli attori bravissimi per confezionare un’opera per molti versi straziante. Lynn sa contro cosa deve combattere ma la famiglia sembra l’unico luogo in cui non le è possibile essere compresa, amata. Il disastro emotivo legato al matrimonio non rafforza la famiglia, anzi sembra prevedere la futura disgregazione perchè la morte del capofamiglia non rasserena nessuno, mette solo a tacere gli scontri e i dolori.
La società di Levinson non ha spiragli di ottimismo, ma è solo nichilista e voyeur. Nessun personaggio viene descritto positivamente. Ognuno è concentrato su se stesso, avvolto in una spirale di egoismo o fragilità che rende a turno tutti vittime e carnefici. L’unico scopo sembra ricercare l’infelicità. Il ritratto di questo mondo in disfacimento è efficace per molti tratti anche se sembra avvitarsi su se stesso in una ripetizione di scene madri che lasciano i personaggi sempre al punto di partenza.