The son

Il nostro parere

The son (2022) USA di Florian Zeller


La vita di Peter con la sua nuova compagna Emma e il loro bambino viene sconvolta quando l’ex moglie Kate si presenta con il figlio adolescente Nicholas che presenta una bruttissima depressione ed ha abbandonato la scuola.


Dopo il travolgente dramma sulla demenza “The Father” di Florian Zeller (2020), che ha ricevuto ampi consensi e ha fruttato un meritato Oscar al protagonista Anthony Hopkins, è stato annunciato che l’ultimo capitolo della trilogia di opere teatrali di Zeller – iniziata con “The Mother”, proseguita con “The Father” e conclusa con “The Son” – sarebbe stato il prossimo ad essere adattato per il grande schermo.

Sebbene le storie siano collegate solo tematicamente, in “The Son” Zeller affronta nuovamente senza paura argomenti cupi, con Peter (Hugh Jackman) che cerca di salvare il figlio diciassettenne Nicholas (il debuttante Zen McGrath) da una spirale di depressione. Ma a differenza di “The Father”, che utilizzava tecniche cinematografiche per mostrare la prospettiva di una persona incapace di mantenere il contatto con la realtà, “The Son” manca di tale creatività cinematografica, raccontando gli eventi tragici della storia con una chiarezza struggente.

Zeller, evidentemente desideroso di liberarsi delle origini teatrali del materiale, evita l’ambientazione unica della pièce e racconta la storia tra New York e Washington, attraverso una serie di appartamenti impeccabilmente progettati, uffici eleganti e la casa palaziale del padre di Peter (Anthony Hopkins, in un cameo che si rivela il momento culminante del film). Non si può negare l’occhio impeccabile del designer Simon Bowles per la disposizione degli oggetti: tutto, dai cuscini del divano non coordinati ai mobili della sala da pranzo, ha un senso preciso, comunicando silenziosamente aspetti delle vite vissute prima degli eventi del film.

Jackman è convincente nel ruolo di Peter – una figura paterna alla Clark Kent, con abiti eleganti, denti bianchissimi e un’abbronzatura sospettosamente profonda. Con il progredire del film, le crepe nella facciata di Peter cominciano ad allargarsi, e lui si terrorizza per ciò che trova sotto. McGrath, tuttavia, ha un compito troppo ampio: incaricato di esprimere depressione, inganno e confusione, la sua interpretazione risulta disomogenea.

La semplicità dei dialoghi di Zeller ha reso “The Father” particolarmente brutale, ma qui sfocia occasionalmente in melodramma vuoto, con uno scontro esagerato nel terzo atto tra padre e figlio. Mentre il film sostiene che crudeltà e malattia mentale collaborano, questa simbiosi come percepita da Nicholas è raramente articolata con specificità. Un momento senza parole in cui Peter, Nicholas e la nuova moglie di Peter, Beth, ballano sulle note di “It’s Not Unusual” di Tom Jones, ci ricorda che la forza di Zeller risiede altrove, nel trasmettere cambiamenti di umore forti ma naturalistici: la musica cambia in qualcosa di profondamente malinconico, esprimendo succintamente come il ‘divertimento’ sia ancora percepito da Nicholas.

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